La valenza del sostegno della rete sulle attività sociali: solo parole o anche fatti?

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Mi trovo davanti ad una questione con la quale faccio fatica a relazionarmi con oggettività e con spirito obiettivo.

solidarieta
www.enricoalletto.it

Quando si parla di tematiche sociali, molto spesso, ci si imbatte nella sfera dei sentimenti, delle emozioni, delle esperienze personali e di tutti quei lati intimi che ogni persone porta con se.

Parlare di comunicazione sociale significa parlare di un mondo molto particolare, fatto di gente, di luoghi, di speranze e di condizioni spesso drammatiche.

Le campagne sociali che, normalmente,circolano in rete o sui media tradizionali tentano di sensibilizzare l’utente verso un tema o una condizione difficoltosa nella quale versano una o più persone.

Non credo ci sia bisogno di descrivere ulteriormente il significato delle svariate attività sociali anche perché il mio intento è quello di riuscire a capire, insieme a voi, quanto e come, chi ha veramente bisogno di aiuto, può arrivare a riceverlo.

Facendo un po’ di ricerca on line, mi è capitato di scoprire alcune storie davvero toccanti le quali, grazie alla comunicazione, stanno piano piano procedendo verso un barlume di speranza.

Una fra queste è la vicenda di Emanuele Lo Bue, un bambino di soli 9 anni il quale, a causa di un incidente durante una semplice operazione di appendicite, è rimasto cerebralmente offeso.

Dal 2007 Emanuele è in uno stato vegetativo e la sua famiglia, per potergli assicurare la vita, è costretta a tenerlo costantemente attaccato ad un macchinario nella sua cameretta oltre, ovviamente, a cure ed interventi specifici.

La madre si è fatta portatrice di una comunicazione massiccia, coinvolgendo i media tradizionali come la tv e, in maniera sempre più incisiva, il web.

Attraverso il blog, nato con lo scopo di salvare Emanuele, i genitori sono riusciti a contare sull’aiuto economico e morale di moltissime persone.

Il caso di Emanuele diventa così un caso nazionale e, attraverso il diario multimediale, è possibile monitorare progressi, aggiornamenti, esperienze e quant’altro.

Quali sono stati, secondo voi, gli elementi determinanti per una movimentazione di questo livello?

Se conoscete la storia qui descritta, come avete fatto ad arrivarci?

Se per la famiglia Lo Bue muoversi in questa traiettoria ha significato ricevere una concreta speranza anche per quanto riguarda terapie molto costose fuori dall’Italia, lo stesso non è stato per molti altri casi che, quotidianamente, si nutrono di drammaticità e povertà.

In questi anni abbiamo assistito a movimentazioni di massa rispetto a casi come quello di Eluana Englaro, di Piergiorgio Welby, Denise Pipitone, Angela Celentano, Manuela Orlandi e molti altri.

aiuta
windoweb.it

Tutte storie, in maniera diversa, affrontate dal punto di vista mediatico con lo scopo di coinvolgere persone estranee ai fatti ma potenzialmente interessate ad aiutare.

Che cosa spinge, quindi, la gente ad appassionarsi e a fidarsi di quanto detto e descritto dalle famiglie colpite?

Come dicevo, peregrinando sul web, trovare siti, blog, forum nati a sostegno di cause pro bono è molto facile.

Sulla rete coinvolgere un numero elevato di persone è decisamente meno complicato rispetto ad altri canali di comunicazione ma ciò non significa che, in questo modo, i promotori possano contare su aiuti concreti.

Quanti di voi si sono trovati di fronte ad una mail, ad un invito sui social network oppure ad una comunicazione più istituzionale?

Quanti di voi hanno aderito, simbolicamente, perché si sono sentiti vicini al tema o per un richiamo di coscienza?

Immagino in molti ma, a questo punto, mi viene da chiedere quanti di voi effettivamente hanno poi seguito la vicenda, si sono interessati ai risvolti, hanno donato soldi o altro al fine di una realizzazione concreta?

Cliccare, condividere, appassionarsi…tutte cose meravigliose ma poi, alla fine, oltre le parole si ha bisogno di fatti.

Oggi, qui, vorrei capire insieme a voi quali potrebbero essere le reali strategie, sia on line sia off line, in grado di sollecitare dei contributi tangibili.

Vi segnalo alcuni link grazie ai quali potrete farvi un’idea di ciò che circola in rete.

Grazie per la collaborazione.

Marusca Cesare
Press & Marketing
CDCM Pro

4 COMMENTI

  1. Personalmente provo sempre un po’ di diffidenza rispetto a queste situazioni. Ad esempio, siamo tutti abituati a ricevere periodicamente via mail richieste di aiuto attraverso catene di Sant’Antonio. Di base siamo portati a considerarle storie inventate e modi di racimolare soldi puntando sulla bontà delle persone. Tutto questo va ovviamente a scapito di chi, eventualmente, volesse chiedere aiuto per una persona realmente bisognosa e scegliesse di utilizzare quel tipo di forma di comunicazione.

    Credo che, allo stato attuale, il raggiungimento di risultati concreti sia ancora legato alla combinazione fra l’online e l’offline. I pubblici (o almeno certi pubblicic) sono ancora in qualche modo influenzati dagli “old media”, per cui come nell’esempio citato nell’articolo la comparsa della storia in TV ha dato uno statuto di realtà a mio avviso fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi.

    Per quanto riguarda la strategia da adottarecredo invece che in questi casi nessuna tecnica possa essere più efficace della realtà: di fronte a certe situazioni, chi ha un cuore e una coscienza non ha bisogno di un marketing convincente o di un claim indovinato per intervenire…spero davvero che sia ancora così!

    In ogni caso gran bell’articolo, aspetto i commenti successivi sperando che si aprano spunti interessanti…

    Saluti Ninja!

  2. Scusatemi, ma io non ci credo (più). Se uno è sensibile all’argomento ascolta, condivide, diffonde. Solo qualcosa di eccezionale riesce davvero as muovere i pecoroni. Guardate l’Abruzzo. Tanto rumore, tanta mobilitazione e?

    Alex

  3. Condivido i primi due commenti. Da quel che vedo, nei social, tutti sono bravi (io stesso) a dare un join ad una causa, ma spenderci 2 lire?

    Io ho i miei sistemi per fare beneficenza (come per medici senza frontiere o il wwf), ma se dovessi seguire qualsiasi causa mi venga proposta sarei sempre dietro a donare, ritrovandomi presto in mutande e comunque con il continuo sosspetto di avre preso l’ennesima fregatura…

    il cinismo e la diffidenza, e non solo in rete, la fanno da padrone… e chi mi dice che l’euro dell’sms che dono ( e ogni volta comunque li dono) vada veramente alle persona colpite da terremoto/tsunami/bambini africani/etc? e che non vada invece nelle grasse pance di politici locali?

    A livello comunicativo, comunque, per un’iniziativa di provata autenticità prevederei comunque un evento con comunicazione incrociata on/offline, documentata, ripresa e diffusa per testimoniare credibilità e affidabilità. Qualche refferral o testimonial, e sopratutto cercare di sensibilizzare stampa e radio per editoriali sul caso. Ovviamente, purtroppo, a parte la consulenza che dovrebbe essere pro-bono, i costi ed il budget fanno la differenza per la visibilità dell’evento/situazione.

  4. Come già detto sopra negli altri commenti, la TV in questi casi ha quel potere di rendere la causa nota a tutti, che ancora la rete non ha. Infatti se si pensa ai nomi fatti, Englaro, Welby, Denise…credo che la maggior parte delle utenze televisive conosca i casi. Però credo anche si siano fermati al puro ascolto della notizia; forse è probabile che chi le informazioni le cerca in rete, vada anche oltre e approfondisca il tema cercando di dare un contributo personale. Personalmente, ho lavorato per un periodo in una ONLUS che si occupa di adozioni a distanza; tutte persone molto serie che lavoravano a tempo pieno per una causa nobile e che effettivamente raccoglievano dei buoni risultati…solo che fino a che non si sono fatti pubblicità in tv e radio (ora finalmente anche in rete) ricevevano carsa attenzione e scarsi contributi dalle persone comuni. COncordo con Kemestry, gli old media hanno ancora troppa influenza.